Cessione del quinto licenziamento giusta causa

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Come è noto, il mondo del lavoro in Italia è stato oggetto di una vera e propria rivoluzione nel corso degli ultimi decenni, ovvero a partire dall’introduzione del concetto di flessibilità, con la Legge Treu, all’inizio degli anni ’90. Con il passare del tempo, però, il vero paradigma del lavoro nel nostro Paese è diventato la precarietà. Basti pensare che se per decenni l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che sanciva l’impossibilità di licenziare senza giusta causa, era stato un vero e proprio tabù. Il Jobs Act, ovvero la riforma del lavoro varata dal governo Renzi, ha stabilito la possibilità del licenziamento economico, ovvero derivante dalla necessità di ristrutturare l’azienda in base alle necessità produttive. Una possibilità che, però, riguarda solo il settore privato e non quello pubblico.

Una nuova situazione che peraltro ha costretto anche le aziende del comparto creditizio a ridefinire le proprie politiche nei riguardi della clientela. Soprattutto per quanto concerne un prodotto come la cessione del quinto, basato proprio sulla presenza di una busta paga cui andare ad appoggiare il piano di rientro concordato in sede contrattuale. Andiamo a vedere quindi cosa sia cambiato in tal senso e le contromosse delle finanziarie di fronte ad una situazione del tutto nuova.

Cessione del quinto e licenziamento: cosa succede?

Come abbiamo ricordato, quindi, in Italia il posto fisso, almeno nel settore privato, non esiste praticamente più. Questa è la conseguenza cui sono arrivati gli economisti e i giuslavoristi che hanno avuto modo di studiare in profondità le implicazioni del Jobs Act. Nel caso sopravvenga una crisi aziendale, oppure il datore di lavoro ritenga non più necessaria la presenza di una determinata figura professionale, il lavoratore può infatti ritrovarsi senza lavoro da un giorno all’altro.

La nuova disciplina del lavoro, però, pone notevoli problemi di carattere pratico anche alle aziende che erogano credito. La domanda che occorre porsi, ad esempio, è la seguente: cosa succederebbe nel caso in cui ad essere colpito da un provvedimento simile fosse un soggetto che abbia in corso un contratto di cessione del quinto? Cosa accadrebbe all’eventuale ammontare residuo del debito? In quale maniera esso verrebbe saldato, e da chi?

Una serie di domande che hanno comunque una risposta del tutto logica: in caso di licenziamento, l’istituto finanziario il quale ha erogato il finanziamento non dovrebbe fare altro che rivalersi sul TFR (Trattamento di Fine Rapporto) accantonato, e su tutti gli altri emolumenti che non siano stati goduti dal dipendente. Una categoria, la seconda, in cui vanno senz’altro a rientrare i premi, permessi, la tredicesima e la quattordicesima, le ferie non godute.

Perché è possibile la rivalsa su TFR e altri emolumenti?

Tutto ciò si fonda sul fatto che il datore di lavoro, quando provvede a sottoscrivere e notificare all’istituto finanziario il cosiddetto Atto di Benestare, ovvero presta il suo consenso all’operazione, non si impegna soltanto a trattenere dalla busta paga del dipendente la rata concordata e a versarla ogni fine del mese a copertura del piano di rientro, ma anche a comunicare l’eventuale licenziamento del dipendente.

Va a questo punto ricordato come il datore di lavoro non svolga alcun ruolo attivo nel processo innescato dalla richiesta del lavoratore. Deve soltanto provvedere al congelamento di ogni somma dovuta al dipendente e ad avvisare tempestivamente l’ente erogante di modo che quest’ultimo possa provvedere dal suo canto a calcolare il debito residuo e richiedere il versamento del TFR accantonato.

In pratica, il caso di licenziamento può sfociare in due situazioni tipiche:

  1. nel primo caso l’importo formato dal TFR, e delle altre somme dovute all’ex dipendente, è superiore o uguale all’ammontare residuo del debito. In questo caso, il datore di lavoro andrà a congelare le somme al fine di versarle direttamente all’istituto che ha finanziato l’operazione, sino alla sopravvenuta estinzione totale dell’importo dovuto. La parte eccedente dovrà poi essere dallo stesso versata sul conto dell’ormai ex dipendente;
  2. nel secondo caso, ovvero quello in cui l’eventuale debito residuo, non sia coperto dal TFR e dagli altri crediti accumulati, a rispondere dovrà essere proprio l’ex dipendente. Stante la circostanza che le somme a lui spettanti non sono sufficienti al fine di coprire il saldo residuo, al netto del versamento degli emolumenti di fine rapporto che siano già stati correttamente versati dal datore di lavoro, l’ente erogante si troverà costretto ad aprire la procedura di recupero del credito restante. In questo caso sarà un funzionario della finanziaria ad attivarsi, mettendosi in contatto con la controparte, con il preciso compito di concordare insieme all’interessato un piano di rientro credibile. In pratica sarà necessario varare un nuovo accordo che vincoli il debitore a pagare, sulla base delle proprie disponibilità, sino a saldare il debito contratto.

Cosa succede se l’interessato ha già trovato un nuovo posto di lavoro?

C’è però una ulteriore casistica da considerare, ovvero quella relativa all’eventualità che l’interessato sia nel frattempo riuscito a trovare un nuovo posto di lavoro. Una eventualità non molto frequente in un Paese come il nostro, ma pur sempre possibile. In questo caso, in effetti, la procedura viene ad essere notevolmente semplificata nel caso in cui il diretto interessato provveda ad informare in maniera tempestiva il funzionario che è stato incaricato di trattare la sua questione della nuova occupazione trovata.

A questo punto, infatti, l’Istituto Finanziario non dovrà fare altro che procedere a notificare l’ammontare residuo del debito alla nuova azienda, di modo che le rate vengano, da quel momento in avanti, addebitate direttamente sulla nuova busta paga. Così facendo, in pratica, la cessione del quinto, proseguirà con il nuovo datore di lavoro, che una volta preso atto della rinotifica, non dovrà fare altro che subentrare al precedente titolare in qualità di interfaccia per il disbrigo delle pratiche legate al prestito.

In questa eventualità, però, cosa accade all’ammontare della rata? In pratica non dovrebbe succedere nulla nel caso in cui lo stipendio goduto dal lavoratore sia rimasto inalterato, permettendo al piano di rientro di procedere senza scossoni. Nel caso contrario si renderà invece necessario ridefinire la rata, parametrando il 20% appunto al nuovo emolumento dell’interessato.