Cessione del quinto non pagata dal datore di lavoro: come muoversi?

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I prestiti con cessione del quinto sono molto gettonati per la loro semplicità e la modalità con cui vengono erogati. La rata mensile viene detratta direttamente dalla busta paga e spetta al datore di lavoro versarla all’istituto di credito presso cui è stato sottoscritto il contratto di finanziamento. In caso di pensionati la rata viene prelevata dal cedolino della pensione. Fin qui tutto fila liscio. Ma cosa succede quando le rate restano insolute e il nostro titolare non adempie correttamente ai suoi doveri? In questa guida troverete tutte le informazioni necessarie e i consigli giusti in caso di mancati adempimenti del datore di lavoro.

Gli obblighi del datore di lavoro

Il nostro datore di lavoro, in caso di cessione del quinto, è obbligato a versare in modo regolare l’importo della somma che viene defalcato dal nostro stipendio mensile. I dipendenti non dovranno ricordarsi di pagare le rate del finanziamento contratto ma semplicemente percepiranno ogni mese lo stipendio al netto di quell’importo.

Con il contratto di prestito con cessione del quinto il datore di lavoro si obbliga a versare le somme dovute in modo regolare e preciso in modo che il destinatario del finanziamento non debba sostenere il pagamento delle rate con bollettini postali o altri mezzi di pagamento.

Ecco allora che la modalità di rimborso di questa particolare tipologia di prestito rappresenta una garanzia per l’istituto di credito che ha erogato il finanziamento. Il fatto che le rate vengano versate direttamente dal datore di lavoro comporta infatti una maggiore sicurezza. L’importo viene prelevato direttamente dallo stipendio mensile del dipendente.

Il datore di lavoro non può opporsi alla richiesta di cessione del quinto. Rientra tra i suoi doveri quello di versare una rata pari ad un quinto dello stipendio del suo sottoposto.

Il discorso cambia se invece si parla di rate pari al 50 per cento dello stipendio o della pensione al netto. In questi casi, infatti, il datore di lavoro ha anche la facoltà di rifiutare tale istanza. Con la cessione del quinto il datore di lavoro è un soggetto coinvolto nella transazione: questi dovrà rilasciare alla banca o alla società finanziaria un certificato che attesti la retribuzione mensile del dipendente; presentare notizie in merito al Tfr maturato sempre dal suo impiegato; dare informazioni in merito a trattenute previdenziali o assistenziali, nonché in merito all’Irpef e un documento relativo alla propria azienda in modo da valutare se c’è un rischio di perdita di lavoro per il dipendente.

C’è anche la possibilità che il datore di lavoro presenti all’istituto di credito che eroga il finanziamento un attestato di servizio in cui sono riportate tutte le notizie relative al contratto di lavoro del dipendente che andrà a beneficiare del finanziamento.

I tradizionali prestiti con cessione del quinto possono avere una durata massima di dieci anni, ossia pari a 120 rate mensili. Vediamo cosa succede quando alcune rate non risultano effettivamente pagate dal datore di lavoro nel piano di ammortamento della cessione del quinto.

Rate non pagate: come fare?

Episodi simili non sono poi così rari. Può infatti succedere che il datore di lavoro trattenga l’importo finalizzato alla cessione del quinto ma non lo versi all’istituto di credito. Ecco che si andrà a parlare di insolvenza. In queste circostanze è il nostro titolare ad essere debitore in quanto è un soggetto coinvolto nel contratto di finanziamento.

La prima cosa da fare per il dipendente, ossia il beneficiario del finanziamento, è quella di dimostrare alla banca o alla società finanziaria la trattenuta sulla busta paga. In questo modo l’istituto di credito capirà che il mancato pagamento non dipende dal lavoratore.

La trattenuta sulla busta paga rappresenta una prova certa della buona fede del destinatario del finanziamento anche nel caso si finisca in tribunale. Con la cessione del quinto infatti il mancato pagamento delle rate diviene una responsabilità del datore di lavoro. Una volta che la banca o la società finanziaria, che hanno concesso in prestito il capitale, hanno compreso di chi sono le responsabilità dell’insolvenza possono rivalersi sul datore di lavoro per ottenere le somme dovute. Non ci saranno problemi per il lavoratore.

La legge

La cessione del quinto è una soluzione di credito che prevede il coinvolgimento del datore di lavoro qualora fosse un impiegato a beneficiare del finanziamento. Il titolare ha il dovere di versare le somme dovute all’istituto di credito che ha erogato il prestito. Parliamo di un tipo di finanziamento non finalizzato in quanto il lavoratore non deve affatto giustificare la richiesta di prestito, né motivare in che modo andrà a spendere il denaro ottenuto dalla banca o dalla società finanziaria. La modalità di rimborso del capitale rappresenta una sorta di garanzia per l’istituto di credito in quanto la restituzione del denaro avviene mediante la figura del datore di lavoro.

A dirlo è la normativa vigente in materia: la legge numero 311 del 2005 e la legge numero 80 del 2005 stabiliscono che il prestito con cessione del quinto è un diritto di un qualsiasi lavoratore dipendente.

Il datore di lavoro può opporsi alla richiesta del dipendente e rifiutarsi di versare le rate mensili solo nel caso in cui si tratti di prestito delega di pagamento. Ciò avviene quando la rata mensile trattenuta sullo stipendio è fino al 50% della retribuzione.

Con la legge 180/50 è stato poi stabilito che le istituzioni statali e le aziende sono obbligate ad accettare le varie istanze di cessione del quinto ma in caso di insolvenza per licenziamento e disoccupazione o dimissioni del beneficiario del prestito, la responsabilità non sarà mai dell’ente o dell’impresa.

Le conclusioni

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto che può anche succedere che un datore di lavoro non faccia il suo dovere e che quindi, nonostante la trattenuta sulla busta paga del dipendente, non versi quanto dovuto alla banca o alla società finanziaria che ha concesso il prestito con la formula della cessione del quinto. In questi casi l’istituto di credito può rivalersi sul datore di lavoro senza pregiudicare il destinatario del capitale. In molti casi il pagamento delle rate viene sì effettuato dal datore di lavoro ma in ritardo perché quel denaro viene usato come riserva di liquidità.

Quando viene estinto il contratto di cessione del quinto e si fa richiesta del conteggio estintivo il lavoratore dipendente può venire a conoscenza della propria situazione di rimborso. In caso di irregolarità nel pagamento il tutto apparirà più “lievitato” ovviamente. Non resta allora che fare ricorso e richiedere il rimborso delle somme maggiorate per le rate insolute.