Cessione del quinto negata o non accettata: quali le cause?

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La cessione del quinto dello stipendio o della pensione è una formula molto gradita da banche e finanziarie. Basti pensare che dai 350mila prestiti sotto tale forma del 2015, si è passati ai 420mila del 2017. A richiederla sono soprattutto i lavoratori dipendenti del settore privato oltre i 43 anni, i quali rappresentano il 58% del complesso.
Il motivo di questo appeal è del resto abbastanza comprensibile: in un quadro che vede il sistema creditizio zavorrato dalla grande massa di prestiti che sono stati concessi e il cui piano di rientro non sia stato rispettato da clienti caduti in una spirale negativa, una soluzione che non prevede alcun tipo di rischio per l’ente erogante non può che essere vista con grande favore.

Perché non esistono rischi per l’azienda chiamata a concedere il credito? Per il semplice motivo che il richiedente può essere esclusivamente un lavoratore dipendente o un pensionato che porti a sostegno della propria richiesta proprio l’emolumento mensile di cui godono e sul quale sarà operata la trattenuta mensile. La trattenuta alla fonte rappresenta la vera garanzia a favore delle banche o delle finanziarie che concedono la cessione del quinto, rendendo in pratica del tutti inutili le altre, quelle richieste invece nel caso di prestiti di altro genere, ove invece le garanzie sono indispensabili.

La cessione del quinto può essere oggetto di rifiuto?

Come abbiamo visto, quindi, la cessione del quinto rappresenta la formula ideale per il sistema creditizio, in quanto il richiedente deve avere un cespite di reddito su cui sarà impiantata non solo l’entità della cifra che può essere concessa, ma anche quella della rata mensile che l’ente erogante tratterrà periodicamente alla fonte.
Ciò non vuol dire però che non esistano casi in cui la richiesta di una cessione del quinto sia oggetto di diniego da parte della società consultata. Un rifiuto che può essere causato proprio dalla differente politica adottata dalle aziende del comparto o da alcune questioni collegate proprio alla cessione del quinto. Andiamo dunque a vedere nel dettaglio quali sono i motivi di un possibile rifiuto.

La cessione del quinto rifiutata a causa dell’assicurazione

Come è ormai noto, la cessione del quinto obbliga il contraente a stipulare una polizza assicurativa rischio perdita impiego e morte. Si tratta di una precauzione obbligatoria che pone al riparo la finanziaria dal rischio collegato alla perdita del posto di lavoro, che spazzerebbe via lo stipendio posto a garanzia o al decesso dell’utente, che stopperebbe l’iter procedurale allo stesso modo.

Va però ricordato che l’assicurazione cui ci si rivolge per poter stipulare la polizza potrebbe opporre un diniego, il quale potrebbe essere motivato:

  1. dal fatto che il richiedente operi in un settore lavorativo ad alto rischio, ad esempio operante in un comparto produttivo in aperta crisi;
  2. dalla esistenza di uno stato fisico non buono da parte dello stesso soggetto, magari derivante da una patologia che elevi decisamente il fattore rischio collegato ad un possibile decesso.

Cessione del quinto respinta a causa del TFR insufficiente

Altra causa ostativa alla concessione del finanziamento può essere quella relativa al TFR (Trattamento di Fine Rapporto), riguardante i soli dipendenti privati. Occorre infatti rilevare come la maggior parte di banche e finanziarie, come ulteriore forma di garanzia, provvedono infatti a congelare la liquidazione, ovvero il TFR che è stato accantonato in azienda.

A volte, però, esso può essere insufficiente, una condizione che è dovuta in particolare alle seguenti cause:

  • il fatto che l’interessato abbia operato una richiesta di anticipata liquidazione del trattamento;
  • un suo accantonamento destinato ad un fondo pensione privato;
  • l’insufficiente anzianità lavorativa.

Al fine di bypassare una problematica di questo genere diventa necessario rivolgersi a finanziarie le quali prevedano la concessione di una cessione del quinto senza TFR. La controindicazione, in tal senso, deriva dal fatto che sono poche le aziende di questo genere, le quali peraltro sono solite applicare al prestito tassi di interesse sensibilmente più elevati rispetto a quelli riguardanti le cessioni del quinto con il TFR.

Diniego della cessione del quinto dovuto a scarsa solidità dell’azienda

Altro fattore che può influenzare notevolmente la concessione, sino al rifiuto da parte della finanziaria è poi la solidità dell’azienda in cui il richiedente della cessione del quinto presta il suo lavoro. Proprio in considerazione del fatto che il piano di rientro è imperniato sull’esistenza di uno stipendio da cui riscuotere la rata mensile, si prospetta l’obbligo da parte dell’ente erogante di monitorare con grande attenzione lo stato dell’impresa che dovrebbe diventare parte integrante del piano di rientro. In particolare le finanziarie sono contrarie a concedere il benestare nel caso in cui l’azienda del lavoratore che chiede il prestito rientri in tipologie considerate problematiche come le ditte individuali e alcuni tipi di cooperative.

Sino all’introduzione del Jobs Act erano poi considerate  non finanziabili le aziende che abbiano meno di 15 dipendenti occupati, in quanto esse non rientravano nel campo di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Una limitazione che oggi conta meno, in quanto proprio l’approvazione della riforma del lavoro imposta dal governo Renzi ha in pratica smantellato questa tutela, che persiste solo nel settore pubblico.

Cessione del quinto rifiutata a causa di problemi del richiedente

Infine tra i possibili motivi i quali possono infine spingere le aziende creditizie a negare il loro assenso alla cessione del quinto ci possono essere anche alcuni fattori legati proprio alla condizione di lavoratore dipendente, che abbia raggiunto un’anzianità minima o di pensionato. Ad esempio occorre sicuramente essere all’interno del recinto dei limiti di età previsti dalla propria condizione, oltre a poter dimostrare senza ombra di dubbio la sussistenza di un reddito netto (per la cessione dello stipendio) o della quota cedibile (per i pensionati) tale da poter essere reputata non solo sufficiente, ma anche congrua.

Peraltro c’è anche una ulteriore condizione da monitorare con assoluta precisione, che è rappresentata dall’eccessivo livello di indebitamento a carico del richiedente, il quale potrebbe già avere in corso altri prestiti. Un fattore che viene a decadere solo nel caso in cui esso venga usata proprio alla stregua di modalità di consolidamento debiti o prestiti.