Cessione del quinto forzata: cos’è e in quali casi avviene

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Uno dei temi più spinosi, quando si parla di cessione del quinto dello stipendio o della pensione, è quello relativo al pignoramento presso terzi, ovvero quello dei beni del debitore contemplata dall’articolo 543 del Codice di Procedura Civile.
Si tratta in pratica della presa forzata dei beni del debitore in possesso di terzi, la quale può riguardare ad esempio, proprio lo stipendio o la pensione del debitore. Il problema che sorge in questo caso è dovuto proprio al fatto che un iter procedurale di questo genere potrebbe andare ad inserirsi in una situazione che veda in essere una cessione del quinto.

La domanda che occorre porsi, in una situazione simile è la seguente: cosa avviene quando si esegue una presa forzata di beni esistenti presso terzi in cui sia implicato un lavoratore o un pensionato sottoposto al prelievo alla fonte del 20% del suo stipendio o della sua pensione derivante dalla sottoscrizione di una cessione del quinto?

Quali sono i limiti del pignoramento di stipendio o pensione

Quando si verifica una situazione di questo genere, occorre comunque partire da un presupposto: non tutto lo stipendio può essere pignorato, in quanto lo stesso impianto di legge afferma esistere un minimo vitale che deve essere garantito alla persona e ai suoi familiari, sul quale il creditore non può comunque rivalersi per rientrare del suo debito.

In particolare il massimo di stipendio pignorabile ammonta ad un quinto della retribuzione mensile e il calcolo deve essere effettuato sul netto, e non sul lordo. Il principio vale su tutti gli stipendi, anche quelli più magri.

Se questo è il primo e più evidente limite contro cui si scontrano le pur legittime pretese del creditore, ve ne sono comunque altre che devono essere prese in considerazione, soprattutto perché le regole vanno a variare sulla base della procedura utilizzata. Ad esempio, le regole mutano a seconda del fatto che l’atto di pignoramento sia stato notificato al datore di lavoro oppure direttamente alla banca alla quale viene versata la retribuzione a lui spettante. Una volta che sia stato calcolato il minimo vitale, tutto il resto dello stipendio può essere di conseguenza assegnato in maniera forzata al creditore.
In particolare esistono due diverse procedure, con i relativi limiti al pignoramento dello stipendio:

  1. la prima prevede la notifica dell’atto al datore di lavoro;
  2. la seconda invece riguarda la banca presso la quale il debitore ha attivato il conto corrente sul quale viene versata la retribuzione mensile.

Poter conoscere quale tra le due modalità di pignoramento è stata adottata è molto semplice, in quanto nella notifica dell’atto viene espressamente indicato il nome del terzo pignorato, ovvero il datore di lavoro oppure la banca.

Pignoramento dello stipendio: la notifica al datore di lavoro

Come abbiamo detto la notifica relativa al pignoramento dello stipendio può essere inviata direttamente al datore di lavoro del debitore. Una volta che questi abbia ricevuto la comunicazione, l’iter prevede che invii al creditore un rendiconto della situazione del debitore, indicando se abbia una preesistente situazione debitoria o meno.
A questo punto si procede con la comparsa davanti al giudice del Tribunale Civile, in una udienza alla quale devono presenziare sia il terzo pignorato che il debitore. Nel corso del dibattimento il giudice provvederà a verificare che il datore di lavoro abbia presentato una dichiarazione positiva sull’esistenza di crediti del dipendente, procedendo poi al pignoramento. La decisione vincola in modo strettissimo il debitore, che sino a quando non avrà provveduto al saldo di quanto dovuto si vedrà trattenere il 20% dell’importo del suo stipendio.

A questo punto conviene precisare come nel calcolo dell’importo pignorabile non vadano a rientrare eventuali cessioni del quinto. Se, ad esempio, su uno stipendio di 1.500 euro il dipendente ha concordato la cessione del quinto in favore di banche o finanziarie, l’importo pignorabile continuerà ad attestarsi sempre sulla quota di 300 euro, ovvero un quinto di 1.500.

Va anche ricordato come il pignoramento dello stipendio venga naturalmente a decadere con la cessazione del rapporto lavorativo. Ne consegue che nel caso il dipendente sia assunto da un’altra azienda, occorre presentare di nuovo la notifica. Negli importi da pignorare rientra anche il TFR del dipendente, ovviamente sempre nel limite di un quinto dell’importo netto totale.

Il pignoramento dello stipendio superiore ad un quinto: quando è possibile?

Va però anche sottolineato come esistano dei casi in cui la parte di stipendio aggredibile possa andare a superare il limite di un quinto. In particolare ciò viene a registrarsi nella eventualità che ci siano più creditori contemporaneamente, a patto che si tratti di crediti di natura differente. In questo caso, è proprio la legge a stabilire che in caso di notifica contemporanea di più pignoramenti sia necessario procedere con il saldo del credito in maniera progressiva. Ciò vuol dire che il secondo creditore riceve le sue spettanze solo una volta che siano state saldate tutti le pendenze del primo. La procedura in questione, che deve essere autorizzata dal giudice, viene definita “in accodo”, proprio perché prevede che i pignoramenti avvengano uno dopo l’altro. Ove si verifichi questa situazione, il livello di pignoramento non può andare ad intaccare lo stipendio oltre una misura massima del 50%.

Il pignoramento dello stipendio versato in banca

Altro iter procedurale può poi essere quello relativo al pignoramento dello stipendio notificato alla banca, che prevede differenze con il precedente solo per quanto concerne i limiti. In questo caso, infatti, non sono pignorabili le somme depositate sul conto pari a tre volte l’assegno sociale. Considerato come nel 2017 lo stesso ammonti a 448,07 euro, il pignoramento può riguardare solamente gli importi che vadano ad eccedere la somma di 1.344,21 euro. Ove ad esempio il conto corrente della persona interessata veda la presenza di 3mila euro collegati alla sua retribuzione da dipendente, al massimo ne potranno essere pignorati 1.655.79. Proprio per questo motivo il lavoratore può mettersi al riparo dal pignoramento evitando di lasciare sul conto corrente un importo eccedente i 1.344,21 euro, un accorgimento che però può valere solo nel caso del primo pignoramento mensile, mentre per i successivi il pignoramento tornerà ad incidere con la regola di un quinto dell’importo totale e netto.