Indice dei contenuti
- Gli obblighi del datore di lavoro e quando può dirsi insolvente
- Il rifiuto del datore di lavoro
- Gli obblighi del datore in caso di licenziamento e chiusura dell'azienda
- Cessazione del rapporto e compagnia assicurativa
Richiedere la cessione del quinto dello stipendio o della pensione vuol dire scegliere una tipologia di finanziamento facilmente erogabile, che comporta una serie di indubbi vantaggi. La cessione viene effettuata direttamente dal datore di lavoro sulla busta paga del lavoratore/debitore. Sarà poi il datore a versare la rata all’ente erogatore con quale il lavoratore ha stipulato il finanziamento. Questa guida vuole aiutarvi a comprendere meglio quali siano gli obblighi ai quali il datore di lavoro non può sottrarsi e quando invece egli possa rifiutarsi di effettuare la cessione del quinto.
Gli obblighi del datore di lavoro e quando può dirsi insolvente
Il datore di lavoro non può esimersi dall’accettare la cessione del quinto richiesta dal lavoratore. Egli ha un vero e proprio obbligo di versare, come già specificato, la rata, mensilmente, all’ente con cui il finanziamento è stato stipulato. Il lavoratore, infatti, percepisce il suo stipendio già al netto della somme dovute per la cessione. L’agenzia creditizia gode della garanzia dei pagamenti effettuati dal datore, che detrae la somma dallo stipendio del lavoratore. Se alla scadenza del contratto di cessione del quinto, alcune rate risultino insolute, il datore diventa egli stesso debitore terzo ceduto.
Il datore è insolvente quando questi abbia, ad esempio, trattenuto la somma della cessione senza erogarla all’ente destinatario. A questo punto, essendo anche egli debitore, dovrà rilasciare:
- una certificazione della retribuzione del suo dipendente,
- informazioni sul TFR maturato dal lavoratore,
- notizie sull’IRPEF e sulla trattenute previdenziali,
- dati sulla situazione generale dell’azienda, affinché l’ente creditizio valuti la possibilità o meno che il lavoratore possa perdere l’impiego.
Il datore di lavoro può anche presentare un attestato di servizio del lavoratore sul quale vi siano elencate tutte le informazioni del contratto di lavoro del suo dipendente.
Il rifiuto del datore di lavoro
Se per la cessione il datore non può opporre rifiuto, per altre forme di cessione che, per esempio, arrivino fino al 50% della retribuzione, egli può decidere se accettare o meno la richiesta del lavoratore. Il rifiuto può esserci anche il caso di richiesta di prestito delega. Questo perchè, se la cessione del quinto è un vero proprio diritto del lavoratore, il prestito delega (o doppio quinto) non lo è.
Inoltre, se il lavoratore ha già chiesto una cessione del quinto, non ne può chiedere un’altra se non dopo due anni. Se la prima cessione del quinto prevede un piano di rientro decennale, il lavoratore potrà richiedere una nuova cessione solo dopo quattro o cinque anni.
Gli obblighi del datore in caso di licenziamento e chiusura dell’azienda
Il datore di lavoro ha l’obbligo di versare le rate di cessione del quinto per tutta la durata del finanziamento, che non può superare i dieci anni. Durante tale periodo di tempo, però, può accadere che il lavoratore venga licenziato o che l’azienda chiuda. Cosa accade in tali circostanze? Se il dipendente viene licenziato durante la cessione, il datore deve trattenere il TFR (o somme aggiuntive) fino a quando non raggiunga la somma necessaria a coprire il resto del debito. Qualora il lavoratore sia un dipendente statale, il datore è lo Stato; questi ha l’unico obbligo di recuperare esclusivamente le somme aggiuntive e non il TFR che è gestito dall’INPDAP.
Se invece l’azienda chiude, il datore di lavoro sospende l’erogazione delle rate all’ente creditore, perchè in tal caso egli è solo obbligato a corrispondere gli importi che sono dovuti come da contratto di cessione. Il datore non si fa carico della correttezza del rimborso del finanziamento. Quindi, se è vero che la legge 180 del 1950, poi integrata dalle leggi 311 e 980 del 2005, già stabiliva l’obbligo del datore di assentire alle richieste di cessione del quinto, è vero anche che l’insolvenza che sia causata da un licenziamento o da una chiusura dell’azienda, non è mai addebitabile all’azienda stessa.
Cessazione del rapporto e compagnia assicurativa
Se il lavoratore perde il proprio impiego per uno dei motivi già elencati o per dimissioni e non riesca trovarne un altro, la compagnia assicurativa risarcisce la somma alla banca o all’ente creditore. Il lavoratore resta comunque il debitore principale al quale rivolgersi. Se il lavoratore trova un nuovo impiego entro 6 mesi, la banca comunica al nuovo datore la presenza di una cessione del quinto e il nuovo datore dovrà occuparsi di pagare la rata mensilmente. In questo caso non è necessario l’intervento della compagnia assicurativa.