L’Italia è uno dei Paesi ove la voglia di imprenditorialità riesce a dispiegarsi nella maniera più vigorosa. Quasi tutti i nostri connazionali, prima o poi, prendono in considerazione l’idea di mettersi in proprio e impiantare una attività, confidando nella propria capacità. Basta a tal proposito dare una rapida occhiata alle statistiche per rendersi conto di come lungo tutta la penisola, magari in percentuali diverse, esista una miriade di realtà tali da costituire un vero e proprio caso a parte, a livello mondiale, capaci di imporsi ad onta di una serie di strozzature le quali continuano a gravare sul sistema, impedendo spesso alle aziende di crescere.
Un problema, quello della mancata crescita delle piccole e medie aziende italiane, che continua ad aleggiare non solo sulla loro possibilità di vivere, ma anche sul sistema creditizio, chiamato a fare i conti con le conseguenze di questa situazione. Va infatti sottolineato come per una azienda creditizia una cosa sia dover trattare con una realtà già consolidata per la concessione di un prestito, ben altra sia invece il doverlo fare con una microimpresa di carattere artigianale che potrebbe nell’arco di pochi mesi essere costretta a chiudere i battenti, proprio in conseguenza della difficoltà a trovare non solo uno sbocco per i propri prodotti, ma anche un sostegno nei momenti di difficoltà, non solo di carattere prettamente finanziario. Differenze che si fanno del resto sentire anche quando si prenda in considerazione la cessione del quinto di stipendio, la formula che pure rappresenta la più facile in assoluto da ottenere per il lavoratore che decida di richiedere un prestito. Andiamo a vedere il perché.
La cessione del quinto per i dipendenti di piccole aziende: in cosa consiste
La cessione del quinto dello stipendio per i dipendenti di piccole aziende rappresenta una delle tante possibilità di accesso al credito che è possibile reperire sul mercato. Si tratta di una soluzione naturalmente riservata a chi dispone di una busta paga sulla quale impostare il piano di rientro, conditio sine qua non per ottenere il finanziamento. Proprio sulla sua entità sarà decisa la cifra concessa dall’ente richiedente, la quale dovrà essere rimborsata mese dopo mese, mediante una trattenuta che sarà operata alla fonte. Occorre però mettere in rilievo come la cessione del quinto preveda che a operare la restituzione non sia il dipendente, ma l’azienda ove lavora.
Proprio quello che abbiamo detto può però concorrere a rallentare le procedure per l’ottenimento del credito e andare anche ad aumentare i costi del finanziamento stesso, spingendo l’ente erogante a chiedere un tasso di interesse maggiore per assumersi il rischio collegato. Spetta infatti alla finanziaria cui si rivolge il lavoratore stabilire se l’azienda in cui presta la sua manodopera possa dare adeguate garanzie, tali da rendere assolutamente sicura la restituzione del capitale prestato. Ove l’affidabilità dell’azienda non sia sufficiente a garantire che il rimborso avvenga con regolarità il prestito potrebbe infine essere negato.
Mentre è da scartare in partenza l’ipotesi che a negare il finanziamento sia l’azienda in cui lavora il richiedente, stante il fatto che l’istituto della cessione del quinto viene considerato, per legge, un diritto del lavoratore che il suo datore di lavoro deve assolutamente rispettare. A stabilirlo è una legge del 1950, poi integrata dalle disposizioni della Legge Finanziaria liquidata in sede parlamentare nel 2005.
L’ultima precisazione in tema è quella relativa alla destinazione dei soldi ottenuti con la cessione del quinto per dipendenti di piccole aziende: trattandosi di un prestito non finalizzato, chi lo ottiene può destinare i fondi per qualsiasi scopo.
La cessione del quinto e la solidità dell’azienda
Come abbiamo visto, quindi, la solidità e le dimensioni dell’azienda possono influenzare la decisione finale da parte dell’ente erogante. Proprio il fatto che il piano di rientro sia imperniato sull’esistenza di uno stipendio da cui riscuotere la rata mensile, rende obbligatorio da parte dell’ente erogante un attento monitoraggio sull’effettivo stato dell’impresa che dovrebbe diventare parte essenziale del piano di rientro.
Va poi ricordato come sino all’introduzione del Jobs Act le finanziarie considerassero non finanziabili i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti occupati. Questo perché esse non rientravano nel campo di applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che vietava il licenziamento senza giusta causa. Una limitazione che è in pratica venuta a decadere con l’approvazione della riforma del lavoro da parte del governo Renzi che è andata sostanzialmente a smantellare questa tutela, ora valida solo nel settore pubblico.
Attenzione al coefficiente assicurativo
Quando si parla di cessione del quinto a dipendenti di piccole aziende, entra in gioco una questione cruciale, ovvero quella rappresentata dal coefficiente assicurativo. In pratica, quando si decide di sottoscrivere una soluzione di questo genere si rende necessario sottoscrivere una polizza assicurativa in grado di coprire la perdita del posto di lavoro. Le compagnie assicurative chiamate ad affiancare quelle del comparto creditizio nel campo della cessione del quinto sono infatti solite assegnare a ogni azienda privata un parametro di questo genere.
Si tratta di un aspetto estremamente significativo, in quanto proprio dal coefficiente assicurativo va a dipendere in pratica l’ammontare massimo finanziabile. La cifra in questione, infatti, può essere ottenuta moltiplicandolo per il TFR lordo accantonato. Ecco perché la questione relativa alle dimensioni aziendali è considerata importante quando un lavoratore dipendente decide di andare a richiedere una cessione del quinto.