Indice dei contenuti
- Il datore di lavoro può rifiutarsi?
- Richiesta del certificato di stipendio
- Tfr e datore di lavoro
- Considerazioni finali
La cessione del quinto è una tipologia di prestito ampiamente praticata oggi nel nostro Paese. Ovviamente è soggetta a una legislazione particolare e accurata, che stabilisce i doveri di ogni parte. In questo articolo ci occuperemo di stabilire quelli che sono gli obblighi del datore di lavoro del soggetto richiedente.
Alla base della normativa sulla cessione del quinto vi è il DPR 180 del 1950, che consente al datore di lavoro di trattenere un importo pari a massimo un quinto dello stipendio, direttamente dalla busta paga. E’ proprio questo aspetto a rendere questo prestito più conveniente rispetto ad altre tipologie di credito e di conseguenza anche più vantaggioso. Questa è una logica conseguenza del fatto che la cessione del quinto offre una probabilità di restituzione molto alta. In poche parole è proprio il coinvolgimento del datore di lavoro a rendere il prestito sicuro, comodo e più facile da ottenere anche per protestati e pignorati. La sua partecipazione obbligata consente così al lavoratore di non pensare a pagare le rate del prestito, che vengono decurtate in modo automatico. Vediamo però di chiarire e delineare bene gli obblighi del datore di lavoro.
Il datore di lavoro può rifiutarsi?
Un’azienda potrebbe rifiutarsi di operare questo servizio di intermediario, tra la busta paga del lavoratore e l’istituto di credito? La risposta è negativa. La legge sancisce che il datore di lavoro non può opporsi alla richiesta di un prestito con cessione del quinto a favore di un suo dipendente. Ad onor del vero va comunque detto che sono molto rari gli episodi in cui si registrano opposizioni mosse in tal senso dai datori di lavoro.
Quando il dipendente sottoscrive un contratto per un prestito con cessione del quinto, l’azienda è obbligata a prenderne atto e avviare il pagamento delle rate mensili. Queste dovranno poi essere pagate in modo puntuale, altrimenti eventuali contenziosi ricadrebbero per legge proprio sul datore di lavoro. Quindi il lavoratore non è neanche tenuto a comunicare la sua intenzione di richiedere un prestito prima di sottoscriverlo. Può farne comunicazione all’azienda, fornendo i documenti che l’istituto di credito gli darà, dopo aver firmato.
In termini pratici il datore di lavoro, o più spesso l’ufficio da lui preposto, dovrà controllare che la rata proposta non ecceda il limite del 20 per cento dello stipendio al netto di eventuali straordinari o premi di produzione. Una volta effettuato questo controllo, si limiterà ogni mese a trattenere l’ammontare della rata prevista dalla busta paga del lavoratore e versarlo alla finanziaria che ha concesso il prestito. In qualsiasi momento il lavoratore ha diritto, se vuole, di richiedere una certificazione che attesti l’avvenuto pagamento della rata del prestito con cessione del quinto. Vediamo quali sono gli obblighi dell’azienda per quanto riguarda la richiesta di certificato di stipendio.
Richiesta del certificato di stipendio
Per ricevere il prestito i richiedenti potrebbero aver bisogno del certificato di stipendio. Si tratta di un documento rilasciato alla banca o alla finanziaria già in fase di preventivo e necessario per determinare l’importo ottenibile, la durata del prestito e l’ammontare della rata mensile.
Il datore di lavoro deve obbligatoriamente concedere questo documento al lavoratore. Il modulo dovrà poi anche essere inserito nei documenti del lavoratore. In questo documento viene riportata la situazione reddituale del dipendente. Contiene cioè i dati relativi alla paga base, al suo Tfr maturato e alle altre informazioni previdenziali.
Si tratta di un passaggio molto semplice per un’impresa, che richiede ad un addetto al settore pochi minuti per la compilazione. Vediamo però gli obblighi del datore di lavoro in merito al Tfr.
Tfr e datore di lavoro
In questo caso la questione è un po’ più spinosa. Nel caso in cui un lavoratore si dimettesse dal suo lavoro o venisse licenziato prima dell’estinzione del suo prestito il datore di lavoro avrebbe degli obblighi in materia di Tfr. Per poter estinguere il debito restante tra il lavoratore e l’istituto di credito, il lavoratore si vedrebbe costretto a svolgere due passi obbligatori per legge.
- comunicare alla finanziaria la cessazione del rapporto di lavoro del debitore;
- congelare e corrispondere al creditore il Tfr accantonato dal dipendente a garanzia del prestito.
Ciò significa quindi che il datore di lavoro è obbligato ad utilizzare la liquidazione del lavoratore per estinguere il suo debito o parte di esse. Se l’ammontare del Tfr fosse sufficiente per estinguere il debito, al lavoratore verrebbe poi corrisposta la parte eccedente. Diversamente il suo debito sarebbe invece trasferito poi all’assicurazione. A titolo esemplificativo ipotizziamo che in caso di licenziamento o dimissioni il lavoratore abbia maturato una liquidazione di 12 mila euro e abbia un debito restante di 10 mila. In questo caso il datore di lavoro verserebbe 10 mila euro alla finanziaria e 2 mila al lavoratore.
Considerazioni finali
In conclusione quindi dell’argomento gli obblighi del datore di lavoro sono relativamente pochi e semplici. L’unico punto che può rappresentare un problema per il debitore è quello derivante dal congelamento del Tfr in caso di dimissioni o licenziamento. Si tratta però di un vincolo che non ha alternative. Solitamente su questo punto i lavoratori hanno dei dubbi che si rivelano essere ingiustificati. Ricordate che le imprese sono abituate a svolgere questi passaggi, ormai sempre più frequenti.
Una piccola eccezione può riguardare il caso della doppia cessione. Ovvero del caso in cui un lavoratore che ha già in corso un prestito con cessione del quinto ottenesse un nuovo credito con modalità di restituzione analoghe. Si tratta di una possibilità poco pratica ma non impossibile. In questo caso permane il diritto del lavoratore di vedersi riconosciuto dal datore di lavoro questo “doppio quinto” ma non sono specificate le condizioni.
In alcuni casi infatti le aziende possono decidere di richiedere al lavoratore un piccolo contributo per la gestione di questa doppia pratica. Si tratta comunque di una situazione molto rara, in quanto solitamente le imprese non presentano nessuna reticenza in merito. Molto dipende ovviamente anche dalla grandezza dell’azienda. In ogni caso la normativa delinea molto chiaramente gli obblighi del datore di lavoro in materia di cessione del quinto.